C’era una volta… cominciano così le favole, quelle che ci raccontavano da bambini prima di andare a letto e che ci facevano sognare. Storie di principesse, maghi, incantesimi, draghi che ci hanno lasciato dentro qualcosa, tanto che basta una piccola suggestione anche adesso che siamo adulti ed ecco che riaffiorano alla mente con tutta la loro saggezza. Fiabe che aiutano i bambini a crescere, gli adulti a tornare piccini e le imprese a nutrirsi di significato.
È proprio così. L’accostamento è insolito ma efficace. E ciò che lega le due cose è il passato e il suo racconto. Le imprese custodiscono un passato di saperi, tradizioni, ricordi, persone, esperienze da riscoprire e valorizzare attraverso il racconto.
Si parla di storia, di memoria e di eredità. Tre parole chiave che ogni impresa deve imparare a riconoscere e a distinguere poiché ciascuna ha il suo proprio significato. La storia è una cronologia di avvenimenti che si susseguono in un dato tempo e spazio, solo descrittiva, quasi neutra in termini di coinvolgimento e di memorabilità. La memoria è una risorsa vitale per l’impresa. Incarna conoscenze, sapere ed esperienze. È un faro al quale guardare, specie quando si è in balia della tempesta, per riconoscersi e rimanere presenti a se stessi aderendo alla propria identità. La memoria dell’impresa diventa eredità culturale nel momento in cui viene valorizzata non come mera testimonianza del passato, cioè della sua storia, ma come processo sociale di conservazione, riscrittura dinamica di tutto ciò che è stato. L’eredità di un’impresa non nasce dal semplice fatto di avere una storia alle spalle, ma dalla potenzialità del suo racconto, che permette di dare significato al presente e forma al futuro.
L’eredità di un’impresa è la sua storia, unica e irripetibile, e la sua memoria che va narrata a tutti i suoi interlocutori. Possiamo farlo in tanti modi. Attraverso la creazione di un museo d’impresa, la scrittura di un libro, la realizzazione di un documentario o addirittura portandola in scena sotto forma di spettacolo. Ciò che conta è comprenderne il valore e imparare a coltivarne la memoria. Questo è importante specie per le imprese più giovani. Se la longevità è un valore e facilita l’utilizzo della propria eredità, magari tramandata di generazione in generazione, è importante che anche chi non ha un passato tanto significativo alle spalle, possa iniziare a costruirne uno. Due sono gli strumenti da utilizzare: un archivio e un diario.
È semplice, basta aprirsi a un punto di vista diverso. Sì perché tenere un archivio non dovrebbe essere un’incombenza fastidiosa per l’impresa, ma un valore aggiunto dal tempo. Un modo di prendersi cura del proprio passato, investendo nel presente e nel futuro. Gli archivi non vanno svuotati, ripuliti da ciò che contengono per fare spazio al nuovo, che altrimenti in un attimo sarà anch’esso da buttare. Al contrario vanno organizzati, gestiti con razionalità e nutriti di elementi significativi per l’impresa e la sua memoria storica. Gli archivi sono una risorsa e investire sulla coltivazione dell’eredità culturale è un segnale di una gestione strategica d’impresa efficace e duratura. Insomma da fardelli a contenitori di storie ai quali attingere nei momenti di difficoltà. Libri magici con su scritte le formule segrete per scacciare gli spiriti maligni e svelare i sortilegi. In fondo anche le storie delle imprese sono piene di leggende e miti ai quali ispirarsi oppure da sfatare, ma sono importanti proprio per questo. E poi più sono zeppi di significato e più rassicurano all’interno e all’esterno dell’impresa.
Punti di vista diversi ma anche abitudine nuove e positive come quella di iniziare a tenere un diario. Un diario d’impresa da scrivere tutti i giorni o quando se ne sente la necessità. Non una volta all’anno, si capisce. Basta un quaderno con tanti fogli, una penna, qualche matita colorata e la voglia di solcare i confini dell’ordinario. Quello che probabilmente non ti aspetteresti mai di trovare sulla scrivania nell’ufficio del manager o dell’imprenditore a capo della grande azienda. Un bel modo per tessere il filo dell’esistenza dell’impresa, conservarne il vissuto, e tenere traccia dei successi. Siamo quello che scriviamo e attraverso le parole che scegliamo per raccontarci siamo capaci di guardare in faccia le difficoltà, i problemi, intravedere possibili soluzioni, dialogare con persone e arricchire il senso del fare impresa. E il tempo per scriverlo? Quello si sa non basta mai. E il lusso che dovrebbe concedersi oggi chi fa impresa è proprio questo: regalarsi cinque minuti al giorno per raccontare ciò che gli accade intorno. Le parole che usiamo oggi saranno custodi del nostro domani. Fiabe da raccontare per trasmettere identità e significato. Quel “c’era una volta…” che funziona anche per le imprese.
Consiglio di lettura: “Dalle storie alla storia d’impresa. Memoria, comunicazione, heritage” scritto da Valentina Martino e pubblicato da Bonanno Editore nel 2013.